Turismo e acciaio, le preoccupazioni dell’indotto ex Ilva

09 Giugno 2021 | ConfindustriaTaranto

La ripresa dopo i lunghi mesi fortemente segnati dall’emergenza epidemiologica, per Taranto, fa ben sperare. Contrassegnata negli ultimi giorni dal Sail GP, la città è stata proiettata sugli scenari internazionali mostrando la parte più bella di sé, quella del mare, con l’effetto immediato di un efficace restyling della sua immagine.

Basterà per riscattarla da anni di cliché negativi? Sicuramente no, ma è un passaggio importante, al quale è auspicabile possano far seguito altri, che lascerà una traccia nella storia di un territorio desideroso di farsi conoscere, dal punto di vista turistico ed anche sul piano meramente organizzativo, altrettanto meritevole.

Contestualmente, in un altro angolo della nostra provincia, a Manduria, ministri, industriali e manager, si sono ritrovati, nelle ultime ore, ospiti nella Masseria di Bruno Vespa, per parlare di Innovazione e Turismo. Nuove forme di energia, mobilità del futuro, sostenibilità, domanda turistica e risorse del territorio: questi i temi attorno ai quali gli attori politici ed economici sono stati chiamati a dibattere.

Un’occasione altrettanto lodevole, degna di rilievo, che pone la città tutta davanti ad un quesito che per molti sembra essere già stato risolto. Potrà Taranto vivere delle sue bellezze, del suo turismo, della parte esteticamente ineccepibile che ne fa una delle città di mare più belle del Mediterraneo?

Un quesito che le aziende dell’indotto ex Ilva, riunitesi stamani, avrebbero voluto porre agli ospiti del famoso giornalista, riuniti a soli cinquanta chilometri dalla città che in assoluto più di tutte le altre, in questo momento, sta per vedersi decretare – in altre sedi - il destino della sua più grande fabbrica.

Come mai – questa la domanda che gli imprenditori si sono posta – i convenuti, quantomeno coloro i quali ci si poteva aspettare che ne avessero ravvisato l’esigenza - non hanno pensato di incontrare, anche, i protagonisti dell’industria, oggi contestatissima per i pesanti risvolti ambientali che si porta appresso, che per decenni è stata il simbolo della manifattura, del lavoro nobile, sulla quale il nostro Mezzogiorno ha puntato 60 anni fa, volendo competere con il nord più industrializzato? La stessa che per molti lustri ha distribuito benessere, in termini di distribuzione di ricchezza, alle varie generazioni che ne hanno usufruito, ai suoi dipendenti diretti e indiretti, alle sue aziende fornitrici, con ovvie ricadute sul territorio? La fabbrica che Governo, imprese, sindacati, dicono di voler salvaguardare, perché l’acciaio è questione nazionale, e come tale va trattata?

Le imprese dell’indotto ex Ilva di Taranto, finora volutamente silenti in quanto in attesa di decisioni governative che sembravano imminenti in merito sia ai nuovi assetti del centro siderurgico sia ai piani industriale ed ambientale, hanno espresso tutta la loro amarezza rispetto ad un approccio alla vicenda che sembra essere stato inesorabilmente demandato solo ed esclusivamente alle aule di tribunale: come se di colpo la situazione, che definire complessa non rende appieno l’idea, si potesse dire oramai risolta, senza se e senza ma, da un verdetto oramai imminente.

Una prospettiva che gli storici fornitori dell’Italsider, poi Ilva, e poi ancora Arcelor Mittal e ora Acciaierie d’Italia, sentono passare sulle loro teste come una beffa impossibile da sopportare, ancora una volta (dopo le precedenti già subite ai danni delle loro casse); preoccupati da una pressoché totale assenza di interlocuzione nella questione che pure dovrebbe coinvolgerli in quanto testimoni diretti, nonché attori spesso loro malgrado protagonisti, della vicenda in assoluto più controversa e difficile della storia economica italiana.